Prefazione del Professor Oliviero Diliberto

L’intelligenza artificiale è un prodigio. Nel senso originario e autentico del termine, cioè ambivalente.

Prodigium è, infatti, nella lingua latina, al contempo il prodigio come evento positivo e fausto, uno stupore meraviglioso, ma indicare anche l’essere mostruoso, innaturale, appunto non umano.

Questa ambivalenza semantica – come perfettamente declinato nell’ultimo (prodigioso anch’esso, in verità) libro di Giancarlo Elia Valori – si applica in misura esatta proprio all’intelligenza artificiale. Prodigiosa nel senso dello stupore, della meraviglia, della genialità dell’invenzione, che profondamente ha già modificato la società e le nostre vite; ma prodigiosa anche perché è così radicalmente non umana, “mostruosa” nelle molteplici implicazioni etiche, giuridiche, religiose, teoriche.

Il libro di Valori indaga a fondo su questi temi, interrogandosi l’Autore sulla nozione di transumanesimo, così come sui delicatissimi aspetti (anche sotto un profilo squisitamente costituzionale) dell’acquisizione di informazioni, dati personali, possibili violazioni della privacy individuale e/o di gruppi sociali organizzati (associazioni, partiti politici, sindacati, istituzioni rappresentative).

Non può sfuggire ad alcuno che l’intelligenza artificiale è intimamente connessa all’intelligence e all’uso militare di essa: il che, in tempi così cupi e carichi di insidie belliche come quelli che viviamo, aumenta le preoccupazioni che crescono parallelamente alle opportunità che l’intelligenza artificiale offre.

Valori è un profondo ed acuto conoscitore della realtà della Repubblica Popolare Cinese. Già nei precedenti libri degli scorsi anni, l’Autore aveva stupito i suoi molti lettori con analisi sulla società cinese originali, dottissime, frutto di informazioni inedite e sempre di prima mano.

Nel libro che avete tra le mani, tale conoscenza è moltiplicata ed applicata proprio al tema della nascita e del tumultuoso sviluppo dell’intelligenza artificiale in Cina.

E’ un Paese, quest’ultimo, all’avanguardia sul piano scientifico e tecnologico, tanto da aver raggiunto brillantemente il primato mondiale nel settore della ricerca e dell’applicazione dell’intelligenza artificiale: Valori ne indaga a fondo – ancora una volta grazie all’accesso ad informazioni sempre di prima mano – i risultati e le prospettive future. Leggendo il libro, si impara davvero moltissimo.

Una parte non marginale del volume è poi dedicata al rapporto – evidentemente indissolubile – tra intelligenza artificiale e esplorazione dello spazio, sfruttamento scientifico della luna e degli altri copri celesti (ad esempio gli asteroidi). Non una prospettiva fantascientifica, ma una realtà fattuale e densissima di opportunità e rischi.

Rischi, appunto. Come immaginare – moralmente e giuridicamente – la responsabilità di esseri non umani? Quali regole varranno per i robot, programmati evidentemente da scienziati umani, ma forniti di (relativa) autonomia funzionale?

Un illustre giurista come Ugo Ruffolo (Corriere della Sera del 26 novembre del 2021) ha proposto di applicare ai robot, così come alle automobili a guida autonoma senza conducente, le antiche regole del diritto romano concernenti il rapporto tra padrone e schiavo, con i relativi profili di responsabilità. Prospettiva sicuramente affascinante, ma a mio modo di vedere non proprio pertinente. Lo schiavo dell’antica Roma era sicuramente, dal punto di vista giuridico, una res, una cosa, ma altrettanto sicuramente era un essere umano raziocinante, intellettualmente e moralmente responsabile delle proprie azioni: e le regole della responsabilità, infatti, equamente prevedevano responsabilità del padrone, ma anche dello schiavo medesimo.

Il robot, il cyber, le macchine non sono umani: andrà pertanto immaginato un sistema di regole giuridiche e morali, diritti, divieti e responsabilità del tutto inedito, fondato su categorie del pensiero e di logica giuridica (e filosofica) totalmente e coraggiosamente reinventate. Senza alcuna forma di pigrizia intellettuale. E’ la sfida del futuro, che attende soprattutto le nuove generazioni di studiosi nativi digitali, non condizionati da duemilacinquecento anni di sedimentazioni concettuali frutto di un sistema giuridico e filosofico fondato sulle persone umane e sulla corporalità.

Il filosofo e matematico Alfred North Withehead, con tipico gusto paradossale anglosassone, affermava che “la caratteristica generale più certa della tradizione filosofica europea è che essa consiste in una serie di postille a Platone”.

Non è più così. Tutto è radicalmente mutato e dobbiamo attrezzarci.

Il libro di Valori rappresenta dunque, in un siffatto contesto, uno sforzo intellettuale formidabile e, al contempo, la straordinaria testimonianza delle vertigini che la frontiera dell’intelligenza artificiale può creare – e sempre più creerà – nella nostra prospettiva di esseri umani.

Buona lettura.

Professor Oliviero DILIBERTO

Preside della Facoltà di Giurisprudenza

Università La Sapienza